Tra sassi e pori
Miriadi di granelli aggrappati tra loro.
Ecco la roccia che sono.
Che a volte sono tutta piena, ricca di energia, consapevole delle mie capacità, pronta a lanciarle nel mondo. Quel famelico vigore che a tratti mi accende, mi guida in slanci vitali, quell’ardore proprio del mio carattere che negli anni è stato affiancato dalla stratificazione delle esperienze, da una visione delle cose meno superficiale, da quella che parrebbe essere la così detta maturità.
Che altre sono tutta un cedimento. Tutta un tremore. Un vuoto nel quale rimbombano echi presenti e passati. Quel vacillare tra folate improvvise, precipitazioni vorticose, piccoli ruzzolii estemporanei. Paura, dubbio, giudizio. Piccola come un puntino di sabbia scandagliato dal vento.
Passi una vita a rifiutare le tue insicurezze, a censurare le paure, a nascondere i tuoi limiti. Passi una vita a vergognarti di non saper affrontare questo e quello, di non riuscire là, di non capire lì. Devi essere forte. Non mostrare il fianco. Non chiedere aiuto. Poi, di tanto in tanto, ti concedi un barlume di vittimismo, così, per sentirti un po’ martire, per darti quel tono che solo l’autocommiserazione può consacrare.
Un’altra vita poi, la passi a smontare, zircone dopo zircone, quell’armatura di latta che arrugginisce il tuo sentire. Passi quest’altra vita a ri-conoscere quei tremori, i sussulti, e provi a trovare un nuovo coraggio, che non è fatto di censura, ma di abbracci e perdono, ed eccoti a tu per tu con i granelli che sei. Un tripudio di emozioni che, quel nuovo coraggio, ti guida ad accogliere. E ammetti di essere l’omino di latta senza cuore, il leone codardo, lo spaventapasseri senza cervello, la strega dell’est, Dorothy, il mago, il cuore, il coraggio, l’intelligenza, un sogno casinista, tutto insieme, lì, dentro di te.
L’arcano maggiore numero XI è la Forza.
Anni fa trovai inspiegabilmente in casa dei miei un mazzo di tarocchi. Tarocchi dei Visconti – Sforza. Una ristampa anni 70 di tarocchi italiani antichissimi con una storia molto lunga. Mancava una carta: l’imperatore. E già, così, ad intuito, mi sembrò un segno ironico e illuminante delle mie radici familiari.
Quel mazzo finì in una scatola che molto tempo dopo ritrovai dopo l’ennesimo trasloco. Avevo iniziato a studiare i Tarocchi di Marsiglia, cominciando dall’approccio alla lettura suggerito da Jodorowsky. Fu immediato mettere a confronto i due mazzi. Molti particolari diversi certo, ma tutto sommato gli arcani maggiori erano quelli. Tranne uno: la Forza.
Nei tarocchi dei Visconti/Sforza che avevano i miei genitori questo arcano è rappresentato da un Leone ( la fiera per antonomasia re delle fiere) fronteggiata da una figura umana che sembra essere un giovane fante nell’atto di combattere con braccio che brandisce un grande bastone ( probabilmente richiamo dell’asso di bastoni presente negli arcani minori, simbolo fallico di creazione, attività, etc). In sintesi in questi tarocchi la forza è rappresentata dalla figura umana che attacca e combatte contro la propria parte animale. Qui la forza è un energia che bastona l’istinto e le pulsioni carnali, materiche, viscerali.
In seguito ho scoperto che questo arcano non era rappresentato così nella versione più antica dei Visconti/Sforza. Ma è per me interessante che quella versione fosse nella casa dei miei genitori. Custodita nel luogo delle mie radici.
Nei tarocchi di Marsiglia che ho ricevuto in regalo, l’arcano torna all’antica versione. Una figura, apparentemente femminile, di energia passiva, ossia energia accogliente, che indossa un cappello alchemico, a forma di otto, di infinito, sta in piedi al fianco di un Leone. Una mano lo accarezza, l’altra è quasi infilata in bocca. Qui la forza è l’equilibrio tra istinto e spiritualità, le pulsioni animali non sono attaccate, ma tenute al proprio fianco e gestite con l’energia dell’accoglienza, domate con saggezza. Non c’è scollamento.
Ecco, prima di riuscire a indossare quel cappello ce ne vuole. Personalmente non so se accadrà mai alla mia testa di esibire una simile corona. Ma certamente è una meta verso andare.
La mia forza oggi è più morbida. Maggiormente in grado di resistere alle trombe d’aria. Nasce dalla mia fragilità, la prende per mano e via assieme verso il respiro successivo. Una forza che cerca di non censurare, una forza che prova a capire, che fa pratica di ascolto. Una forza che ogni tanto fa cilecca. Ha piccoli attacchi di rabbia, piccole smanie di rigidità. Ma ha una porta. E delle finestre. Non è più una teca chiusa. È una casa. Posso aprire la porta, far uscire le emozioni, farne entrare altre, spalancare le finestre e cambiare l’aria. La mia fragilità istruisce questa forza. Non le permette di irrigidirsi, di essere muro, gabbia, onnipotenza.
Allenarsi ad essere flessibile. Elastica. Oscillare al vento.
Questa è la forma del cammino che vorrei fosse il mio, un po’ per istinto, un po’ per scelta. Una manciata di piccole rocce che affiorano nel mare. Un piede su una roccia. Poi sulla successiva. Poi un tonfo in acqua, qualche annegamento, parecchie bevute, piccoli e grandi naufragi, e oplà una nuova roccia sotto al piede. Tutto un cif e ciaf tra onde e scogli. Tra sassi e pori. Eccitazione, fatica, gioco. Paure qua e là.
Ogni tanto porto un sasso in questa mia casa. Come a memoria dei passi conquistati, delle fragilità fatte forza. Sono belli i sassi. Sono belli tutti gli elementi di questo mondo. Ne prendo uno in mano. Per essere una piccola roccia ha il suo discreto peso. Duro, forte, freddo. È stato mille sassi. Ha avuto mille forme. Si è consegnato al vento, al sole, all’acqua. Trilioni di microscopiche briciole che in qualche modo si sono scelte, brillano di una luce arcaica, si tengono strette, allacciate in un unico respiro, così fredde eppure così unite. Avranno certamente caldissimo.
Trilioni di fragilità che toccano le nuvole, sovrastano panorami, diventano montagna.
La tramontana schiarisce i pensieri. Auguro a tutte noi indisciplinate, a tutte noi donne ma anche a tutti gli uomini, di tener vive entrambe le energie, di permettere a noi stesse di farle dialogare. Non esiste forza senza fragilità, né fragilità che non possa diventare forza.
Vi lascio con alcuni versi che amo molto. Li ho scoperti molti anni fa guardando Stalker, immenso film dell’altrettanto immenso regista russo Andrej Tarkovskij.
Questa citazione è una sintesi di alcuni versi del padre, il poeta Arsenij Aleksandrovic Tarkovskij, e i commenti dell’autore del Tao te ching, il classico taoista, attribuito all’eremita Lao-tzu.
Ciao mie belle indisciplinate, grazie sempre per essere quello che siete.
Che si avverino i loro desideri
che possano crederci,
e che possano ridere delle loro passioni.
E soprattutto
che possano credere in se stessi,
e che diventino indifesi come bambini,
perché la debolezza è potenza
e la forza è niente.
Quando l’uomo nasce è debole e duttile.
Quando muore è forte e rigido.
Così come l’albero mentre cresce
è tenero e flessibile
e quando muore è duro e secco.
Rigidità e forza
sono compagne della morte,
debolezza e flessibilità
esprimono la freschezza dell’esistenza.
Ciò che si è irrigidito non vincerà.