Sulla solitudine: ouverture
Il nulla mi spoglia, mi tocca.
Quel niente così sfacciato
mi imbarazza a perdifiato.
Mi segna come un ricamo
quel suo modo di dirmi ti amo.
Ciao donne scapigliate, sorelle pasticcione, amiche contromano, come state messe a solitudine? Ah, io ne ho a iosa, colleziono solitudine in tutte le salse, di ogni genere, etnia e religione! Sì, la solitudine, quel grande universo ricco di galassie, satelliti, pianeti, stelle, stelline, buchi neri e trallallà. C’è quella del lunedì, quella del martedì, quella di ogni giorno della settimana, quella specifica dell’alba, quella del tramonto, la notturna (la più cocciuta), la soleggiata, insomma, sono un’attenta e rigorosa collezionista di quello stato dell’essere tanto ripudiato, odiato, temuto da noi umani, quel sentire che è impensabile non toccare mai. Sì perché io mica mi fido di chi ti dice: io mai sol*, ho famiglia, figli, marito, moglie, cani, gatti, canarini, amanti, amici, amiche, poi il lavoro, lo sport, i viaggi e taratì e taratà. Sì rispondo io, che bello, bene, ottimo, dieci e lode, per carità, ma a te stess* ogni tanto dai udienza?
Ma sì, sono una donna iperattiva, faccio centinaia di cose anche io. Intervallate da pause in cui il mio tempo si dilata, pause nelle quali riprendo fiato, nelle quali mi ritrovo.
In questi ultimi dieci anni, tra le molteplici attività che amo, ho praticato molta solitudine, a tratti con eccitazione, a tratti con dolore. Non che prima non la conoscessi. Ho passato ore e ore da bambina, unica figlia, a giocare da sola, a studiare da sola, a trasformare la noia in inventiva. E così via, crescendo, più e più volte sono entrata in quella piccola casa solitaria che sono. Ma è solo nell’ultimo decennio che ho iniziato a comprenderne l’importanza. E così ho tentato di cogliere i suoi suggerimenti: per prima cosa cercare di ascoltarmi, che mica è semplice, sono un fiume in piena, logorroica con il mondo e con me stessa, partorisco valanghe di monologhi interiori. Poi imparare a essere più selettiva, fare entrare nella mia sfera intima e privata anime belle, che vogliono il mio bene, che arricchiscono la mia crescita, che non si approfittano. Anime alle quali è un piacere dare il meglio che posso. Anime che non pretendono, che non danno per scontato. Terzo e non ultimo: dirmi la verità. Nuda e cruda. Fare allenamento di perdono. E ginnastica di autostima. Darmi il giusto valore, allontanare superiorità e inferiorità. Diciamo che, tra cadute e rialzate, ho capito l’importanza di gestire il tempo con me stessa, di attraversalo perfino con gioia quando è possibile, senza tuttavia zittire il vuoto, la nostalgia, la tristezza che fanno spesso parte di questo stato e che mi sembra sano non censurare.
Sine, con gioia ho scritto. Direte ma che gioia c’è nella solitudine?
Ho un bell’elenco di cose meravigliose che la solitudine mi dona quotidianamente. Mi direte che me la sto raccontando, che mi sto indorando la pillola. Non ci credete?
Beh, per esempio, ho la possibilità di avere tempo per me! Se penso a quante donne nel passato non lo hanno mai avuto, e quante ancora non lo hanno, mi rendo conto che è davvero un enorme tesoro. Posso fare tutto ciò che desidero (nei limiti delle mie finanze), senza dover scendere a compromessi, frequentare ambienti diversi, amiche meravigliose, amici con i quali mi diverto assai. E dopo tanta socialità, avere un luogo del cuore e del pensiero per tornare tra me e me. Mangiare quando voglio, come e cosa desidero, cambiare programma, improvvisare, inventarmi cose, andare alla scoperta.
Poi c’è il mio lavoro: un universo creativo e pratico al contempo, fatto di innumerevoli aspetti, un lavoro che è un’identità dell’anima, dal quale faccio fatica a staccare, un lavoro che non ha orari canonici, un lavoro che alterna fasi solitarie e intime ad altre collettive, che prevede collaborazioni molteplici, molteplici cambiamenti, differenti luoghi.
Insomma pare che io sia libera di scegliere. Certo, in tutta questa libertà ( Gaber diceva: sono libero, sono libero, sono libero …oddio come sono libero…), l’altra faccia della medaglia è che ho la mia personcina sempre davanti, mi tocca pensare a me, e quindi, vai con l’analizzarmi ogni due per tre, a guardarmi dentro, giù giù fino agli abissi, fino a quel fondale nel quale a volte mi sembra di cercare un tesoro perduto, il relitto del primo vagito. E dopo un po’, se la condizione perdura, allora sì, ci vuole qualcuno che mi ripeschi da questi naufragi.
Nel pozzo dell’io
tra presagi di stelle
mi tuffo scomposta.
Ero di acqua e sangue.
E mi bastava.
Scandaglio fondali
cerco il relitto,
il timone reciso,
quella coda
che il primo corpo fu.
Adoro curiosare nei meandri, cercare le origini. Andando a ritroso si scoprono dettagli invisibili nel presente che invece hanno determinato il cammino.
Solitudine, dal latino solus: alcuni ci vedono la forma separatista del pronome SE (con la E che diventa O), ma la maggior parte dei linguisti associano l’etimologia alla forma di sollus che significa intatto, intero, a sé stante, unico.
Interessante. L’essere sola affonda la sua radice nell’essere intera, intatta. In qualche modo non contaminata dalle relazioni, dagli incontri, in ascolto, senza fughe qua e là.
Certo poi mi dico che anche la contaminazione, il contagio (per essere attuale) con l’altro è fondamentale, per mettersi in gioco, per confrontarsi, per dare, ricevere, imparare, crescere, amare, stare assieme, scoprire aspetti di te stessa che non vedi da sola o vederli da altri scorci. Insomma è l’annosa questione di trovare un equilibrio. Un equilibrio personale, giusto per la propria essenza, non una coreografia imposta dalle convenzioni sociali. Che essere indisciplinata è una conquista. Un equilibrio funambolico. Se metti male un piede cadi nella sociopatia, nell’auto-isolamento, nella fuga dalla collettività, se inciampi con l’altro, capitomboli in relazioni disfunzionali e compulsive, che non danno affatto serenità, assicurano soltanto il riempimento del vuoto. La compagnia altrui non garantisce l’assenza di solitudine, anzi, se non è una compagnia sana, a lungo andare la amplifica.
No mie care indisciplinate, non sto dicendo che è meglio stare sole. Ci sono giorni difficilissimi per tutte e tutti, nei quali affiorano mancanze, fioccano assenze e la stanchezza di portare avanti ogni cosa senza un aiuto, senza una mano da afferrare, una spalla su cui piangere e lamentarsi un po’, senza coccole, senza corpi intrecciati, è davvero straziante. Sto dicendo però che denudarsi davanti alla nostra solitudine può regalarci molto, nel bene e nel male. Ci permette di vedere la profondità del vuoto, e forse, se siamo fortunat*, di sentirne la voce.
Che dire ragazze, sono sulla strada come ognuna di voi, sbaglio, tento, sperimento, ogni tanto mi pare di capire, mi sento saggissima, credo di essere vicino alla grande svolta, poi mi accorgo che no e faccio fatica a perdonarmi, fortuna che alla fine mi immagino da fuori, goffa e nevrotica, e mi viene da ridere.
Rido anche delle mie contraddizioni, del mio amore per la libertà e del mio desiderio di riaprirmi ad un legame sentimentale. Di portare in una relazione la libertà di restare intera accanto ad un altro intero, di non diventare due mezze mele che non combaceranno mai, perché l’unica metà di me stessa sono io. Ma certo che è bello stare insieme. Confidarsi, abbracciarsi, amarsi reciprocamente, ridere, litigare, fare e disfare cose. Condividere. Bellissimo vedere coppie serene, amici e amiche divertirsi e sostenersi, famiglie affiatate. Così come è bello essere noi stesse la nostra prima compagnia. Davvero una enorme conquista. Una parte fondamentale della nostra emancipazione. Personale, sociale e, oso dire, anche politica.
Sì perché sulla solitudine, mie care, non ho mica finito qui. A questa prima riflessione ne faranno seguito altre. Al prossimo articolo voglio ragionare con voi sulla solitudine di genere. Ripercorre la storia della solitudine femminile e della sua evoluzione.
La solitudine delle principesse. La solitudine dei grembiuli e delle scope. Quella della scienziata, della calciatrice, dell’artista, dell’imprenditrice, della maestra. La solitudine della pornodiva e quella della suora. La solitudine della madre, la solitudine della figlia. La solitudine delle bambole.
C’è una solitudine
che ama l’universo,
incontra l’io e gli sorride,
cammina con l’anima,
non chiede, ringrazia.
Poi c’è la solitudine.
Quello che hai scritto sulla solitudine anche se riferito alle donne penso che valga in senso lato anche per gli uomini, purtroppo hanno, abbiamo difficoltà a guardarci dentro per paura di capire perché siamo arrivati al punto in cui siamo…Mi ritrovo in questa tua riflessione.
Certamente Vladimiro, è un’ampia riflessione che vale per tutti! Grazie per aver letto e per aver lasciato la tua opinione. Un abbraccio
Che pezzo…
Brividi!
GraZie amica!
❤️❤️❤️
tesoro, sempre grazie a te e a tutte voi per aver letto!