Prima l’uovo o la gallina?
Il futuro entra in noi molto prima che accada
(Simone Weil)
Buongiorno indisciplinate. La pasqua è arrivata, ma la quarantena continua. Personalmente non seguo nessun credo religioso, ma ho fede nella natura e un’immensa gratitudine nei confronti dell’universo. Ho sempre interesse nell’approfondire lo studio delle religioni e delle mitologie, perché si basano su archetipi, riti, valori che raccontano l’essere umano e il suo rapporto con il tutto, con il visibile e l’invisibile. Essendo stata battezzata mio malgrado, avendo fatto la comunione con la ghiotta aspettativa di essere accolta da quell’eroe romantico chiamato Gesù (contrariata per non aver ricevuto il vestito da principessa tutto veli e perline ma un abitino di raso rosa e bianco, riutilizzabile nelle occasioni buone) e nonostante il mio fermo rifiuto di praticare la cresima all’età di 12 anni, nonostante la fuga dalla messa domenicale che dispensò anche i miei dall’andare in chiesa, comunque il cristianesimo e il cattolicesimo sono parte delle mie radici. Studiare le sacre scritture, la mentalità, la storia dell’istituzione religiosa (che mi suscita orrore), mi chiarisce molte cose. Dunque, torniamo a noi. Pasqua: passaggio. Beh, oggi, questa etimologia mi sembra fin troppo calzante. Morte e rinascita. Uff. Questa è la vita.
Sono morta già parecchie volte, sono espertissima in distacchi, addii, finali, come molte donne d’altronde, biologicamente e culturalmente allenate, nel bene e nel male, alla morte e alla trasformazione. Ah, io muoio che è una meraviglia! Rinasco a volte, altre no. A volte ciò che muore non risorge, finisce il suo tempo. Sono morta quando sono nata, lasciando quell’utero caldo e spaventato di mia madre, morta ancor prima abbandonando chissà quale dimensione. Sono nata nel primo sonno goduto tra il seno e il cuore materno. Sono nata quando all’asilo ho chiesto di non tornare a casa all’ora di pranzo, di restare a tempo pieno anche se mia madre finiva di lavorare alle 14, dando voce alla mia natura indipendente. Sono nata il primo giorno delle elementari, acquistando la mia prima identità sociale, con tanto di voti e giudizi. Sono morta tra voti e giudizi. Sono nata nei giochi con mio padre, morta con il primo testamento redatto a 7 anni. Morta con la nascita del seno. Nata con l’avvento delle mestruazioni, con le mestruazioni morta ogni mese. Nata al primo sesso, morta alla prima sigaretta, nata al primo spinello, morta ad ogni delusione d’amore. Nata con la patente, con l’università, con l’accademia di teatro. Morta lasciando casa dei miei, la mia stanza, i privilegi della vita in famiglia, nata abbandonando quei privilegi, con la prima casa mia, con i primi viaggi, con il diploma di attrice, nata e morta sul palco, nella scrittura, nei rapporti sentimentali, in quelli lavorativi, nelle amicizie, in molte scelte dure, nella malattia che ho incontrato nel mio percorso. Una pasqua continua.
Siamo uova da rompere, dolci, amare, con e senza sorprese. Ogni morte porta con sé il germe della nascita. E viceversa.
Certo questo binomio è trito e ritrito, rischio il sermone, il predicozzo, il qualunquismo morale. È che a volte la verità è di una semplicità disarmante. Non so voi, mie care scarmigliate, io mi scarto, mi assaggio, mi sguscio, mi sorprendo e soprattutto covo. Sogni, sorelle, sogni, non rancore, giammai, altrimenti mi viene il reflusso. Ho moltissime uova nel paniere. Le tengo in caldo nell’attesa del pigolio. Altre le ho distribuite nel tempo. Anche se le loro ali sono fragili per volare, l’importante è rompere il guscio, ché anche una camminata può essere un volo. L’importante è covare le domande. È nato prima l’uovo o la gallina? Prima il sogno o l’essere umano?