La scia dell’essere
Corro. Saltello. Cado. Sprofondo. Emergo. Riprendo a correre. Tutto questo affanno e mi sembra sempre di star ferma. Poi accade che la vita ti offre consiglio. Ti chiede silenzio. Immobilità. Stallo. Ti senti costretta, in gabbia, vorresti riprendere, tornare a fare tutto, subito. Ti arrabbi, ti disperi, ma la vita basta, è irremovibile. Non ti ascolta. O meglio, lei ti ascolta da sempre. Sei tu ad essere sorda. E in questi inciampi improvvisi, superato lo sconforto, comincia quello strano dissolversi del tempo, quel prezioso nulla, quel lasciar andare ogni controllo, ogni organizzazione, ogni programma. E ti accorgi che è così che vorresti vivere sempre.
Correre ha un suo fascino, può avere il senso del brivido e della contentezza, traduce l’urgenza, il bisogno di mangiare il tempo. Ma in queste nostre vite contemporanee, la corsa quasi mai è una scelta. È una quotidiana fuga da sé stessi verso mete imposte da un sistema capitalista, dagli stereotipi culturali e sociali, dalle nostre proiezioni, dalle aspettative.
Nella mia terrazza vivono molte lumache. Lascio che si nutrano delle piante. I loro viaggi: lunghi, interminabili centimetri. Piccole nomadi in camper.
L’incredibile potenza della lentezza. Ogni millimetro conquistato è un mondo di dettagli e minuscoli universi. Quella lentezza che tutto osserva, tutto accoglie. Quella lentezza che porta il peso del proprio essere fragili. Quella lentezza alla quale è impossibile mentire, quella lentezza che lascia traccia, la scia dell’essere.
Provo a rallentare. A tirar fuori le antenne, a captare il vento, l’energia del mondo. Provo a rallentare. A fare della mia casa uno spazio nel quale bastare a me stessa. Provo. E, quando riesco, tutto si risolve. Quando riesco non ci sono più domande, non hanno senso le risposte.
Poi tutto ricomincia forsennato. E mi ritrovo bipede ansimante, nevrotica, distratta. Mi volto verso quella piccola chiocciola abbandonata.
Guardo altrove. E vedo me.
Quanto mi risuonano le tue parole, potrei tatuarle sulla pelle. Siamo tutti in eterno affanno, con il respiro corto che non ti fa allargare i polmoni. Non ci siamo resi conto che sono decenni che viviamo con una ” mascherina” sulla faccia! C’è voluto un maledetto virus per incontrare il fermo obbligatorio. Non so se riusciremo a rallentare, godendo dei passi che tracciano le orme, immerse nello stupore della scoperta che rivendica tempo liberato, silenzio, risveglio. Non trovo risposte certe, solo il maledetto desiderio di essere felice, spogliandomi dei tanti inutili fardelli. Ti abbraccio sorella mia!😘
Cara Anna, rispetto al desiderio, anche quello è spesso intossicato da specchietti per le allodole, da urgenze indotte. Che, alla base dei nkstri intimi bisogni, tutto è molto più semplice… Un grande grande abbraccio bella indisciplinata 😘