La donna che vorrei essere
Eccoci qui, care sorelle indisciplinate. Oggi, nonostante l’immenso sconvolgimento pandemico che stiamo vivendo e che sta mettendo in ginocchio tutt*, oggi gridiamo ancora più forte, unite anche a distanza, l’infinito lottare quotidiano, secolare, di tutte noi. Lotto Marzo, per citare Non Una Di Meno. Il giorno in cui, accanto a tutte le femministe attiviste, alle femministe inconsapevoli, agli uomini realmente sensibili al tema di genere, che in modo diretto o meno praticano la lotta al patriarcato lavorando per l’incremento delle pari opportunità, fioccano milioni di cuori, auguri, cioccolatini, frasi da bacio perugina, battute, romaticherie, citazioni, regali, regalini e conseguente massacro sistematico degli alberi di mimosa. Ché la festa, la leggerezza, le belle parole d’amore in momenti in cui si dovrebbe solo ascoltare, dare spazio, diventano il sabotaggio per zittire, per addolcire, per indorare la pillola, per compiacere facilmente i nostri cuori “bisognosi” di conferme e attenzioni. E, ahimè, sorelle, quasi sempre siamo le prime a voler essere messe su un piedistallo da romanzo rosa in questa data, le prime a gongolarci nel ricevere le cavalleresche premure e il palco per un giorno. E allora riattraversiamo la storia che riguarda questa data tanto discussa.
Una moltitudine di falsi storici intorno alla nascita della giornata “dedicata” alle donne. Il più famoso racconta di un rogo avvenuto l’8 marzo 1908 in una fabbrica a New York in cui morirono 140 operaie, probabilmente una rielaborazione di un tragico episodio accaduto il 25 marzo del 1911, quando, sempre a New York, la fabbrica Triagle andò a fuoco causando la morte di 123 donne e 23 uomini.
In realtà la Giornata internazionale dei diritti della donna è stata istituita ufficialmente dall’ONU nel 1977.
I primi passi verso la festa della donna sono connessi al VII Congresso della Seconda Internazionale socialista, (Stoccarda – agosto 1907), che ha dato grande risalto alla rivendicazione del voto femminile, tema sostenuto successivamente dal Partito socialista di Chicago, con l’ organizzazione del primissimo “Woman’s Day” il 23 febbraio 1909.
Dopo la Conferenza internazionale delle donne socialiste (Copenaghen 1910), la svolta definitiva avvenne l’ 8 marzo 1917, quando a San Pietroburgo le donne scesero in piazza per rivendicare la fine della guerra. Questo diede linfa ad altre manifestazioni che contribuirono al crollo dell’impero zarista, finché nel 1921, a Mosca, la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste decise che l’8 marzo sarebbe stato da lì in avanti la “Giornata internazionale dell’operaia”.
Ecco, amiche spettinate, proprio oggi dunque, ancora più che in altri momenti, sento che abbiamo bisogno della Luna. Quale energia più potente e creatrice della Luna? Quanta ironia, quante credenze, quante superstizioni ci hanno descritte e ci descrivono lunatiche, stregacce, umorali.
Beh, siamo sicure che non sia un bene? Che non sia la nostra grande energia primaria, il nostro grande potere ?
[…] una concavità infinita, una bocca spalancata che conteneva tutta la sete del mondo. Una vagina senza limiti divenuta aspirazione totale. – scrivono Alejandro Jodorowsky e Marianne Costa ne La via dei Tarocchi.
La Luna, antichissimo archetipo femminile, Madre cosmica, potenza femminile ricettiva. Come pianeta satellite, riflette la luce del sole. È capace di assorbire la luce del giorno che rende la materia visibile, per restituirla di notte e diventare faro. Nei secoli è stata la guida notturna di coloro che attraversavano il mare, l’oceano, la sposa di ogni marinaio, di ogni nave. Guida soprattutto al mondo delle ombre, dell’oscuro, dello sconosciuto. Lume del nostro inconscio, dell’istinto, del “sesto” senso. Fanale per il mondo dei sogni, delle viscere, della fantasia.
Negli antichissimi Tarocchi di Marsiglia la luna è crescente, appare di profilo, non del tutto visibile. È il mistero dell’anima, del percorso di gestazione, dell’intimo nascosto. Nella raffigurazione della lamina due lupi si guardano l’un l’altro ululando alla Luna. Ne stanno assorbendo l’energia, le lacrime infuocate, i raggi colorati che lei dona, pronti a scatenare la propria potenza, la propria aggressività. Energie opposte e complementari, yin e yang.
E nel profondo, sotto sotto, a sud dell’Arcano, nell’utero terreno, ecco le acque increspate dalle onde, un azzurro specchio dell’intuito, portatore di qualità spirituali. Luna saggezza ancestrale. Immensa risorsa sotterranea. Fedele ai flussi naturali, all’acqua, alle maree, ai cicli femminili. Portale che tiene in una mano la vita, nell’altra la morte.
Tra le acque un animale antico, forse granchio, certamente un crostaceo, simbolo dell’io che anela il contatto con la Luna, grande via della comunicazione intuitiva. La Luna ci suggerisce ciò che sta dietro ai fatti, ciò che è nascosto in ogni situazione e che a volte opera in modo più potente di quello che vediamo.
Ecco, belle spettinate, per me questo significa riconnettermi con la luna. Non aver paura dell’energia passiva. Non rifiutarla, non aggrapparmi sempre al sole, maschile, attivo. Ognuno, al di là del genere, ha in sé entrambe le energie. Ma sulla luna, giudicata oscura, malevola, portatrice di sfortuna, ho una responsabilità come donna. La responsabilità di ascoltarla, di sentirla vibrare in noi, di farmi guidare dal sesto senso. Senza cadere nel pregiudizio che passivo è uguale a sudditanza, incapacità, sottomissione, dipendenza. La passività è vitalissima. È ricettività, accoglienza dei segnali, capacità di riconoscere le energie che incontro, gli attriti, l’elettricità che mi attraversa. In parole povere, permettermi di attivare quella via indicibile che mi risparmia dalla cecità quando sono avvolta dal buio. Fidarmi delle maree interiori. Fidarmi dei miei cicli. Se il sole fosse l’unica via seccherebbe il mondo con il suo continuo calore. Senza di lui la luna non potrebbe scaldare e tutto avrebbe fine. Sono dipendenti, connessi. Ma il Sole, così attivo, visibile, razionale, è fin troppo dominante. Basta aver paura degli abissi, basta vedere solo attraverso la mente, basta tenere il controllo, la chiarezza, basta ripetere che tutto è a posto. Perché è così che mento a me stessa, così che non mi ascolto, tanta è la paura di entrare nel buio. Mi aggrappo a tutto ciò che è logico. E il forsennato calore della mente crea spesso allucinazioni, facendomi vedere solo ciò che la società desidera, ciò che ho introiettato come zona di confort e che il mio corpo prova a respingere. Tutto per non credere alla potenza dell’intuito.
È ora di ritrovare un equilibrio naturale. Ora di dare peso, spazio e voce alla magia della creatività notturna, dell’intuizione animalesca. Ora di amare la mia luna.
La donna che vorrei essere indossa verità anche se resta nuda in pieno inverno.
La donna che vorrei essere ha dismesso il camice da infermiera, l’aureola di santa, il potere di seduttrice.
La donna che vorrei essere si specchia nelle altre donne, dialoga con loro, le cerca.
La donna che vorrei essere non compiace né compete con gli uomini, non li domina, non li sminuisce, si fa rispettare, non ama il carnefice, fa guerra al patriarcato, ripudia il machismo.
La donna che vorrei essere è una madre che non possiede, che non proietta, e anche senza bambini è ugualmente gravida, partorisce doni, non li tiene per sé.
La donna che vorrei essere accoglie la diversità, non forza nulla, lascia che la vita sia.
La donna che vorrei essere ha il coraggio di lottare per sé stessa e di arrendersi a sé stessa
La donna che vorrei essere carezza la paura, la trasforma in possibilità.
Il mondo che vorrei accoglierebbe questa donna senza voti né premi, lascerebbe che fluisse come guizzo di fiume. Il mondo che vorrei ripudia ogni categoria.
La donna che sono ama essere donna.
La donna che sono è ricca di contraddizioni. Si allena in stile libero. Non porta a termine la dieta, dorme poco la notte. La donna che sono è pronta a tuffarsi, anche se continua a sbattere la pancia.