Il punto dell’io
Mesi di grande dolore quelli passati. Un presente colmo di stanchezza, dallo stomaco diga di lacrime. Quelle ore sospese in cui la vita, fragile e immensa, respira in ogni dove. Ti dice che c‘è sempre stata. Basta fermarsi.
Così, con l’io in tormento, sbafato di pece e rancore, lui ti osserva, ti contempla da molto vicino. Sente ogni rantolo di paura, ogni sussulto di terrore. Sa la tua anima più dell’anima stessa. Poi, un giorno, decide di farsi notare, di riportarti all’origine.
Tu lo hai visto e rivisto, ma solo in quell’istante lo riconosci. Moro, elegante, dalla linea perfetta. La sua presenza ti fa sentire regale, divina. È antico. Epico. Forse primordiale. Intuisci, guardando nel profondo di quel nero, che in lui c’è l’incommensurabile, il non detto, il tutto. Frenetica apri un ripostiglio, scomponi la catasta di oggetti compressi. Una scatola di metallo impolverata. La apri, componi sul pavimento un affresco genealogico. Fotografie rugose, incolore, figure composte, di chi posa per i posteri. E non puoi credere ai tuoi occhi. Con tua madre bambina, con nonna sposa, con la bisnonna in abito nero, con l’ava ottocentesca, lui era lì. È sempre stato lì. Come a suggellare un patto, a segnare un cammino. Generazione dopo generazione. Vite su vite. Di donna in donna, di madre in madre, dice Pasolini.
Chissà in quante terre é approdato nei secoli, quante donne ha abitato. Tutte parti di te stessa, pensi tu. Lo guardi con sacralità e passione. Un minuscolo buco nero. Un pozzo oscuro. Nel quale tornare indietro, levando pelle da pelle, scartando nascite, albe, reami. Lui, ricambia, in silenzi, mettendo un punto all’inquietudine, alla finitezza della tempo. Allora comprendi e lo carezzi fiera, gentile, sussurrando:
Ma sì, caro, hai ragione. Anche la morte ha il suo neo.