Il martirio dell'amore o San Valentino
Febbraio 14, 2021In IndisciplinataBy Indisciplinata

Il martirio dell’amore o San Valentino

Buon amore non commercializzato, care, stupende indisciplinate! Si potrebbero dire centinaia di cose su questa giornata, la maggior parte delle quali già dette in ogni salsa.

Oggi scelgo di ripercorre assieme a voi la storia di questa data: 14 febbraio. E la storia della sua connessione con l’amore. Inizio dal sor Valentino, colui che viene tirato, volente o nolente, sempre in ballo.

 

ORIGINI CRISTIANE DELLA FESTA.

CHI ERA VALENTINO.

Valentino da Interamna, ossia l’odierna Terni, nasce nel 176 da famiglia pagana benestante, ma si converte al cristianesimo quando il culto era ancora sopraffatto e prevaricato dal paganesimo. Diviene il primo vescovo della città umbra nel 197 per investitura di Papa San Feliciano. Su di lui affiorano numerose leggende e molteplici racconti biografici, che contribuiscono a quell’investitura che lo consacra protettore dell’amore e degli innamorati.

Si dice infatti che, nonostante i voti, abbia incontrato l’amore negli occhi della figlia cieca del suo carceriere. E già in questo passaggio, mie care indisciplinate, mi pare venga suggerita la secolare dicitura dell’amore è cieco. Immaginate lei, cieca, lei che può vedere qualcosa di non espresso dalla fisicità materiale, carnale, lei che tocca l’essenza di un’anima, e lui, pieno di fede, che in quella cecità illuminata riconosce l’amore vero, sacro, puro. Bellissimo eh. Certamente le persone cieche hanno capacità a noi vedenti sconosciute e irraggiungibili. Ma, onestamente, da brava indisciplinata quale sono, faccio fatica a non ritrovare in siffatte leggende per i posteri, una cattolica e puritana morale che riporta l’amore alla fede a prescindere, all’accettazione incondizionata fino all’associazione secolare dell’amore come sacrificio. Tra l’altro, in questa piccola nota biografica, guarda caso è la donna ad esser cieca e l’uomo, guarda caso, si innamora di lei, il che sottende che una donna degna di amore è una donna che non vede nulla dell’uomo e del mondo, una donna sensibile, una donna che ha un altro tipo di vista, una donna considerata bisognosa e non autonoma, incapace di vedere (nel caso di ogni handicap fisico ancora oggi per entrambi i sessi gli stereotipi e la mentalità comune sono discriminatori, fintamente compassionevoli, manchevoli di reale e democratica inclusività).

Non solo, sembra che Valentino compia addirittura il miracolo di ridarle la vista. Ebbene, ecco la donna che riceve la vista dall’uomo, premio per la sua cieca dedizione o forse mera esaltazione del compassionevole eroismo maschile verso la fragilità femminile. Solo incontrando l’uomo dunque, la donna può tornare a vedere, e solo di siffatta donna bisognosa, che lo rende eroe, salvatore, benefattore, si innamora l’uomo.

Bene, vado avanti con il sor Valentino (mi perdonino le amiche cattoliche, ho assoluto rispetto per ogni credo religioso, nessuno per le istituzioni che ne gestiscono la politica, la comunicazione, la scrittura storica e la strumentalizzazione del potere che ne consegue).

Il nostro vescovo, contrariamente alla tradizione pagana, unisce le coppie di innamorati nel sacro vincolo del matrimonio, nel segno dell’amore e della libera scelta del proprio compagno. Quanta modernità! (ironizzo ma forse Valentino è stato realmente una figura capace di accoglienza, una figura rivoluzionaria per l’epoca. Il mio sarcasmo riguarda sempre l’uso della memoria storica che ne fa l’istituzione, il potere.)

Insomma Valentino, in qualche modo, è stato un vero e proprio influencer, tant’è che alcune forme di romanticismo derivano da aneddoti legati alla sua vita: pare riesca a riappacificare una coppia facendo volare dei piccioni in amore intorno ai due litiganti, da qui l’espressione “piccioncini”. 

E ancora: Valentino ha un grande giardino nel quale accoglie i bambini perché passino intere giornate a giocare spensierati.  Al tramonto dona a ognuno di loro una rosa affinché la portino alle loro madri, per essere certo che vadano subito a casa a donare il fiore ma anche per alimentare l’amore e il rispetto per i genitori. Quando viene messo in carcere a vita dal re, il Signore fa volare due piccioni viaggiatori che il vescovo aveva in giardino. Questi si posano sulla finestra della sua cella, Valentino lega al loro collo un sacchetto a forma di cuore con un bigliettino: A tutti i bambini che amo. Dal vostro Valentino.

Nel XV secolo, anche Carlo d’Orleans riprende un aneddoto riferito alla vita del vescovo, ossia che il santo si congeda dalla figlia cieca del suo carceriere con un biglietto firmato dal tuo Valentino. Anche il duca spedì una valentina alla sua amata recante un messaggio d’amore.

Ecco dunque che il biglietto d’amore diventa il simbolo della celebrazione di tale festività, che ricorre nei calendari delle chiese cattolica, ortodossa e anglicana. Tra XIX e XX secolo inizia la commercializzazione di questa ricorrenza, dietro la spinta dell’imprenditrice statunitense Esther Howland.

Altro fondamentale episodio che proclama Valentino il Santo degli innamorati è il matrimonio fra il legionario romano Sabino e la giovane cristiana Serapia. Narra la leggenda che quando Serapia si ammala di tisi, il fidanzato Sabino, convertito cristiano, chiede a Valentino di celebrare le nozze in punto di morte: i due cadono in un sonno profondo, finché non lasciano insieme il mondo terreno perpetuando in eterno il loro amore. Questo episodio della vita di San Valentino ha una larghissima diffusione anche oltre le Alpi, tanto che pure Shakespeare lo ricorda in un suo sonetto per il 14 febbraio (a me ricorda anche la storia di Romeo e Giulietta, nell’amore contrastato dalle famiglie, nella morte assieme.) Inoltre, nell’Amleto (1601), durante la scena della pazzia di Ofelia (scena V dell’atto IV), la fanciulla canta vaneggiando: Domani è san Valentino e, appena sul far del giorno, io che son fanciulla busserò alla tua finestra, voglio essere la tua Valentina.

E ancora: si racconta che Valentino, cultore di giardinaggio, donasse rose alle coppie di innamorati dopo che un fiore da lui offerto a due giovani aveva prodotto un’unione tanto felice da indurre altre coppie a chiedere la sua benedizione. Valentino dunque, decide di dedicare un giorno dell’anno a una benedizione nuziale generale. Ecco l’origine della pratica, diffusa in Centro America e in Estremo Oriente, della celebrazione di nozze cristiane di massa nella data del 14 febbraio. 

Detto questo, la data del 14 febbraio sembra essere la data della sua morte, o almeno questo vogliono farci credere. Ecco perciò, colui (o colei) che più di altri ama, è destinato al martirio. (Ops, ho un rigurgito di un ma anche no…)

Valentino si scontra con l’anti-cristianesimo di quegli anni, l’imperatore Aureliano infatti lo fa arrestare e alla fine uccidere: il 14 febbraio del 273 d. C., per mano del soldato Furius Placidus, viene torturato e decapitato sulla via Flaminia, lungo la quale sarà sepolto. Sul luogo è sorta una basilica, nel IV secolo, che custodisce ancora le reliquie del vescovo, fatto santo anche per diverse testimonianze di suoi miracoli, tra i quali la guarigione del figlio, infermo da anni, dell’oratore greco e latino Cratone, convertitosi al cristianesimo, assieme a tutta la famiglia, dopo l’incredibile cambiamento del giovane.  

Ma, come sempre, dietro la nascita di ricorrenze così moralmente ineccepibili, spesso, ci sono scelte “politiche”.  La festa di San Valentino è il tentativo della chiesa cattolica di porre fine ad un rito pagano della fertilità che si svolgeva fin dal IV secolo a.C., tra il 13 e il 15 febbraio: i romani pagani, omaggiavano il dio della fertilità Lupercus.

Una storia dunque, quella di Valentino da Terni, di fede e amor puro che ha portato papa Gelasio I ad istituire nel 496 il giorno di San Valentino in quanto festa cristiana dell’amore e che, guarda caso, ha spazzato via la cultura pagana, portatrice di pratiche sessuali a dispetto di cotanto amore romantico.

 

LE ORIGINI PAGANE

Ma vediamo in cosa consistevano i LUPERCALI.

I Lupercali, in onore di Pan, Fauno e Luperco, col tempo si erano trasformati da riti della fecondità della natura a violenti raduni orgiastici, tanto che già Augusto li aveva a suo tempo proibiti.

Numerose sono le leggende che aleggiano sugli albori di questo antichissimo culto pagano. Dionigi di Alicarnasso, storico vissuto al tempo di Augusto, nella sua opera Antichità Romane afferma che i festeggiamenti derivino dal miracoloso allattamento di Romolo e Remo da parte di una lupa. Secondo altre fonti, tali festività deriverebbero da Juno Februata, ovvero, Giunone purificata; invocata dalle donne in caso di febbre o per chiedere protezione durante la gravidanza, specialmente nel fatidico momento del parto. Curioso notare come l’etimologia del termine, rifletta una certa semantica legata allo scopo della festa. Lupercus si collega al latino lupus, lupo: un’ulteriore conferma del carattere selvatico della celebrazione, legata a un retaggio completamente pastorale.

Erano dunquefeste di radice arcaica legate al ciclo di morte e rinascita della natura, alla sovversione delle regole e alla distruzione dell’ordine per permettere al mondo e alla società di purificarsi e rinascere. 

Sembra che durante queste festività, uomini e donne si unissero secondo casualità e per un anno dovessero procreare, senza che tra di loro corresse necessariamente un sentimento. I nomi delle donne e degli uomini, che decidevano di partecipare a questo rito, venivano inseriti in un’urna e un bambino aveva il compito di estrarre i nomi, formando così coppie casuali che avrebbero vissuto per un intero anno in intimità per onorare il rito della fertilità, rito che si ripeteva ogni anno. 

Ecco, direi che anche la tradizione pagana romana non è certo scevra da dubbie pratiche di violenza. Mi chiedo: le donne in età da marito, in quel tempo, potevano scegliere spontaneamente di partecipare al rito? Erano spontaneamente liete di ritrovarsi un anno intero accanto ad un uomo casuale con lo scopo di procreare? Magari sì. Magari lo volevano. Ma avevano allora altra possibilità di vita? O l’essere moglie e madre era l’unica possibile aspirazione? Lo so, sono domande retoriche.

Queste feste erano accompagnate da vari rituali, mascherate, cortei, e giornate in cui i servi prendevano il posto dei padroni e viceversa, con l’intento di innescare un processo appunto di rinascita rimettendo in atto il caos primigenio. Parte di queste manifestazioni ritualistiche è sopravvissuta fino a oggi, mediata dalla morale cristiana, nelle tradizioni del Carnevale.

In particolar modo, alcune pratiche arcaiche della fertilità prevedevano che le donne di Roma si sottoponessero, in mezzo alle strade, ai colpi vibrati da gruppi di giovani uomini nudi, armati di fascine di rami strette da spaghi. Attraverso le frustate di questi uomini, “regrediti” alla condizione ancestrale e divina della sessualità libera, impersonata dal dio agreste Fauno-Luperco, le donne ricevevano una benedizione che ne propiziava la fertilità 

Insomma le donne si facevano frustare, anzi venivano frustate.

Fermo restando che sospendo qualsiasi giudizio e ho un totale rispetto verso ogni forma di piacere sessuale consensualmente condiviso, compresi gli approcci sado/masochisti, mi chiedo nuovamente quanto queste donne volessero essere battute, e quanto, il condizionamento culturale era tale da far loro credere necessario che, per diventare madri, occorresse essere frustate e soffrire? E ancora, quante di queste donne si offrissero volontariamente, quante dietro l’influenza delle famiglie, quante per non contraddire il credo sociale?

Oppure chissà, erano riti così tribali da lasciare semplicemente fluire la carnalità, la sessualità, in ogni forma di desiderio.

Pare che queste feste fossero dei grandi riti orgiastici che anche l’intellighenzia romana disapprovava per gli eccessi (per gli eccessi o perché erano atti che miravano al sovvertimento sociale?).

Il dubbio che tra le varie pratiche ci fossero vere e proprie forme di stupro comunque è lecito. Insomma da una parte si nutriva e si stimolava l’approccio bestiale, istintivo, sessuale, con derive violente, dall’altra si censurava questa deriva in nome di una morale più castigata. 

Insomma, che la violenza non sia pubblica per favore. Che rimanga nelle case.

Quindi benediciamo la Chiesa Cattolica che le ha cancellate imponendo la festa dell’amore sentimentale, puro, romantico, al loro posto?

Quella chiesa che poi ha istituito la Sacra Inquisizione, la caccia alle streghe, la tortura e l’uccisione delle/gli eretic*, che ha avviato le Crociate, che ha censurato e condannato costantemente ogni visione lontano dalla propria egemonia, che ha santificato Maria Vergine come madre avulsa da ogni pulsione sessuale, che ha santificato la Maddalena solo perché Gesù ha “purificato” compassionevolmente la sua anima reintegrandola socialmente attraverso il perdono, evitando di accogliere come ufficiale qualsivoglia versione evangelica che racconta i due come una vera e propria coppia, quella chiesa che non ha mai accolto ogni possibile declinazione dell’amore, restando esclusivamente ancorata alla visione eterosessuale e al matrimonio come unica forma sociale nel quale praticare l’amore carnale, accolto con solo fine di procreare?

No. Nessun ringraziamento a codesta istituzione. Nessun ringraziamento ad azioni mosse esclusivamente dalla necessità di consacrare un potere.

 

ALTRI CENNI STORICI

Andiamo avanti. Pur rimanendo incerta l’evoluzione storica della ricorrenza, ci sono alcuni riferimenti storici, i quali fanno ritenere che la giornata di San Valentino fosse dedicata agli innamorati già dai primi secoli del II millennio. Fra questi, c’è la fondazione a Parigi, il 14 febbraio 1400, dell’Alto Tribunale dell’Amore, un’istituzione ispirata ai princìpi dell’amor cortese. Il tribunale aveva lo scopo di decidere su controversie legate ai contratti d’amore, ai tradimenti e alla violenza contro le donne (alla violenza contro le donne? Che sia stato un primo flebilissimo passo verso di noi? Considerando l’epoca sembra un passo enorme, considerando l’epoca, credo non abbia cambiato di una virgola la nostra condizione in quegli anni. Mi pare un ipocrita circo rappresentativo della buona morale). I giudici, udite, udite, venivano selezionati in base alla loro familiarità con la poesia d’amore…

Altra tesi nota è che l’interpretazione del giorno di san Valentino come festa degli innamorati si debba ricondurre al circolo di Geoffrey Chaucer, che nel Parlamento degli Uccelli associa la ricorrenza al fidanzamento di Riccardo II d’Inghilterra con Anna di Boemia.

Inoltre, e qui concludo la panoramica storica, alla metà di febbraio si riscontrano i primi segni di risveglio della natura; nel Medioevo, soprattutto in Francia e Inghilterra, si riteneva che in quella data cominciasse l’accoppiamento degli uccelli, quindi l’evento si prestava a essere considerato la festa degli innamorati.

 

CONCLUDENDO…

Che dire mie care. Sull’amore si è detto di tutto e si continuerà a dire finché l’essere umano esisterà.

Sulla commercializzazione di ogni valore, sulla cristallizzazione di stereotipi, giornate dedicate, sulle giornate mondiali, sulla demagogia, sul populismo, mi sono già espressa.

Che l’amore porti in sé ogni sinonimo di rispetto, accoglienza e inclusività, ogni contrario di possesso e manipolazione, mi pare tanto ovvio da toccare la retorica.

Detto questo, desidero per tutte le soggettività di questo pianeta e di ogni galassia, l’amore come ci pare, l’amore quando ci pare. Non solo a San Valentino.

Dopo 365 giorni dall’ultimo 14 febbraio, continuo a pensare ciò che ho scritto un anno fa, ossia che abbiamo la responsabilità e il diritto di festeggiare il battito delle nostre pance .

Una cosa soltanto mi è chiara dell’amore: che va allenato.

Che non può essere solo sacrificio, non può essere dovere, tanto meno martirio.

Che ha a che fare con la danza funambolica tra l’io e il tu. Un invisibile cavo teso tra l’eccesso di egoismo e l’eccesso di altruismo.

E poi non so. Che sia sempre amore indisciplinato.

Intanto, per favore, non disturbiamo Cupido, lasciamolo svolazzare in pace, è solo un bambinetto.

Ha diritto non prendere armi in mano.