Di secchione in secchione.
Io. Songo. Songo e produco.
Io songo prodotto. Songo dotto di pro.
Songo scarto. Mi scarto. Mi riciclo. Mi vendo.
So’ munnezza preziosa, songo o’ munne differente. *
E quando vorresti andare via. Mettere le mani sul volante e scivolare tra confini e odori nuovi. Vivere ovunque, essere nomade. Quando tutto è un peso e anche un respiro si porta dietro quintali di zavorra. Quando continui a buttare via, ad alleggerire, a cercare un vuoto semplice e accogliente ma sprofondi tra quintali di ansie, doveri, oggetti, procrastinazione, finanze ingestibili, affetti assenti. Quando devi, devi, devi, devi e il fiatone ti stringe il cuore.
Non riesci a smaltire la monnezza. La getti via ma lei è lì, dietro l’angolo. Sotto il tappeto. Davanti casa. E mentre ti piangi addosso, ti senti sola, difettosa, incapace, quello spirito vitale nascosto tra il duodeno e la colecisti prende coraggio, reagisce. Afferri ogni scarto di te stessa, ogni eccesso, ogni residuo. Lo impasti, lo pressi, lo rimescoli. Un’artigiana, un’operaia. E … puff! Ti ritrovi un nuovo potere. Che è un po’ super vista la sua provenienza. Si merita di essere tale. Certo è anche di seconda mano, un super potere usato, differente. Differenziato direi a questo punto. Ma è il suo fascino. Due, tre, cento vite. Un super potere fatto di consapevolezza, ascolto, sguardo essenziale. Scarto dopo scarto, ricicla che ti ricicla, sei una donna nuova. Più matura, con qualche segno del tempo, ma rinata dalle ceneri.
Fino al prossimo accumulo. Fino al prossimo senso di soffocamento. Fino alla prossima fermentazione, alla prossima puzza.
Là dove si sente la merda si sente l’essere – ricorda Artaud.
Ciao, sono Marzia. Sono cacca e muco, sangue, acqua, frattaglie varie. Sono una discarica. Emotiva, spirituale, materica. Nessuno verrà a liberarmi dalla mia spazzatura. Tanto vale farne carburante.
Ciao sono Marzia. Ho dipinto di rosa il mio furgone, un piccolo camper da netturbina. Vado nomade di secchione in secchione a recuperare pezzi di me. Il seno di plastica, l’anima di vetro, la mente incartata, le umide emozioni. Basta dare alla terra ciò che di me non darei nemmeno al mio peggior nemico. Mi do una carezza, una pacca sulla spalla e un calcio nel sedere. E via col recupero.
Pochi giorni prima del lockdown sono riuscita a debuttare con la mia compagnia che non a caso si chiama Atto Nomade Teatro. Ho fatto appena in tempo a portare in scena un piccolo pianeta fatto di munno, munnezza e poesia. Un pianeta che ho iniziato a riciclare più di 5 anni fa e che finalmente ha visto la luce. Ora è fermo in attesa di tornare a concimare il palco.
Non posso dire che riciclando non produrremo più spazzatura, posso dire che ne produrremo meno, quella davvero necessaria. Un circolo ecologico di rinascite artigianali. Un lavoro che non finisce mai. Ma che porta lontano, ne sono certa.
Che ognuna di voi, mie belle indisciplinate, possa mettere mano agli avanzi di sé stessa. È lì, nelle nostre cloache, che la poesia aspetta di essere vista.
Song’ stunata. Song’ riesto, song’ recisa, song’ putata.
Mi bemolle.
Song’ umida, unta, prufumata.
Fa diesis.
Song’ buccia, tursolo, guscio.
Mi bemolle.
Song’ lacrima, singnuzz, apnea.
La maggiore.
Song’ gruoppo, culite, scorreggia.
Re minore.
Song’ acida, passata, scadente.
Fa bemolle.
Song’ rutto, vuommec, sanghe.
Sol diesis.
Son’ paura, liquame, sudore.
Do maggiore.
Song’ ossa, grasso, fetore. Song’ crampo, scintilla, tremore. Avanzo, eccesso, processo. Bum, bum, bum, ahi, ahi, ahi, no, no, no. Song’ funne, letame, cennere.
Sì. Nata. Stunata organica.
Song’ ‘o munne resuscitato, song’ munnata. Decomposta, umificata. Compost casalingo. Riassemblaggio dell’io.
Song’ o’ cibo della terra. *