Chi ha mangiato la marmellata? Primo, disastroso, fantozziano, rapporto orale.
Eccoci qui mie care indisciplinate. Oggi torno al corpo. Non c’è momento nella vita di una donna in cui il corpo non dica la sua. La nostra storia è scritta sul corpo. Corpo che siamo chiamate a conoscere, a scoprire e a ri-conoscere durante tutto il nostro vissuto. Continua trasformazione, continuo tradimento, continua nascita, continua morte.
Questa è la rubrica del corpo proibito, troppo spesso proibito a noi stesse, alla nostra consapevolezza, alla nostra identità più profonda. Tutto il sistema religioso, culturale e oggi anche capitalista ormai “concede” libertà alle donne (che in realtà noi stiamo riconquistando da tempo con le unghie e con i denti) ma agisce ancora, a volte sottilmente, altre platealmente, nei confronti dell’immagine femminile, infinite interferenze, sabotaggi, censure o idealizzazioni, inducendo a diffondere l’introiezione di pregiudizi e l’omologazione a stereotipi che oscillano da ingabbianti e paralizzanti paure ad eccessi trasgressivi, ossia alla corsa verso modelli di rottura e di apparente libertà che non sono realmente partoriti da un moto interiore e che, ahimè, molte di noi perseguono per raggiungere conferma e centralità.
E dunque, sorelle mie indisciplinate, dopo avervi confidato in codesta rubrica che non sapevo di essere donna e che le mestruazioni mi hanno dato il primo scappellotto, dopo aver fatto outing sul primo bacio e capito che io non so pescare, semmai sono il pesce che abbocca, ebbene oggi proseguo con le mie avventure adolescenziali, intrise di conflitti, di ossessivi compiacimenti verso il mondo maschile, compulsivi desideri di dimostrare, ansie da prestazione, controllo e chi più ne ha più ne metta. Insomma il tormento e la vitalità di una ragazzina (aggiungo che tra la fine degli anni 80 e gli anni 90 non usavamo internet e i social, sennò addio, non stavo qui forse).
Intanto, compagne spettinate, faccio a tutte voi una domanda: quando avete cominciato ad avere le prime pulsioni sessuali? Come è stato il vostro approccio iniziatico? Che ricordo avete?
Io indimenticabile.
Esami di terza media
Promossa! Estate piena di euforica vitalità. A settembre il liceo classico.
Veronica, la mia migliore amica, ha già compiuto quattordici anni e per questo primo traguardo della sua vita ha ricevuto un motorino, un Sì Piaggio verde bottiglia.
Pomeriggi interi a scorrazzare per il quartiere, vagabondando tra un bar e un altro, tra coca cole e prime sigarette: rigorosamente marlboro rosse. Sentirsi per la prima volta libere, emancipate, un po’ spavalde, forse gradasse, fuori piccole lolite in mezzo ad allupati maschietti, dentro un mondo di contraddizioni, ormoni e infanzia. Tra i ragazzi con i quali sono cresciuta c’é lui: il fratello maggiore di Veronica, Romolo. Sedici anni. Alto, muscoloso. Non va più a scuola, fa il manovale, divertente, simpatico, spigliato, molto disinvolto con le ragazze, più gentile e dolce di quello che in pubblico mostra. Mi ha visto bambina, nell’ultimo anno ci siamo scambiati baci furtivi di tanto in tanto, tra una sua fiamma e un’altra. Anche se ancora non lo sa, Romolo é uscito vincitore nella classifica di maschi che ho sapientemente compilato per decidere l’uomo che per tutta la vita ogni donna ricorda, insomma colui che ti penetra la prima volta, consegnandoti la patente di ragazza sessualmente emancipata.
Il mio ego non vuole arrendersi alla sua natura romantica e la mia aria smargiassa mi assicura una fama di accogliente e precoce bocconcino. Non posso permettermi di iniziare il liceo a settembre essendo ancora vergine, lì ci saranno gli squali, alcuni addirittura maggiorenni. No, devo essere pronta, basta fare il pesciolino, basta essere nerd.
L’idea di farmi trovare impreparata é un’ipotesi che mi leva il sonno e Romolo ha superato tutte le caratteristiche necessarie per raggiungere il mio scopo:
1) corpo forte, sano e uso alla fatica
2) sicura esperienza sul campo
3) affidabile discrezione
4) intimità già a buon punto
5) una buona dose di dolcezza e affetto
L’amore? Cosa ne so io dell’amore. Gli ormoni e l’ansia dominano tutto il mio pensiero. Con l’aiuto di Veronica nel ruolo di mediatrice e della mia invadente vivacità, sono in breve promossa a nuova fidanzata. Dopo poco insinuo il mio desiderio nella sua mente.
La questione da risolvere è trovare un luogo adatto:
- niente macchina a nostra disposizione
- nessuna notte stellata per me che non posso ancora uscire in città dopo cena
- nessuna casa libera durante il giorno causa costante presenza materna.
Il destino ci viene incontro. Per annaffiare le piante, Romolo ha in consegna le chiavi di casa della zia andata in vacanza. È fatta!
Il pomeriggio deputato si avvicina, non lo ammetto ma sono nervosa.
La mattina la dedico a meticolosi e fondamentali preparativi. Un bagno nella schiuma profumata, lo stereo a tutto volume, Like a Virgin, La Isla bonita, True blue, Material girl, Papa don’t preach. Canticchio stonata, mi depilo con un rasoio, rituale non del tutto assimilato, sulle gambe i segni dell’incerta delicatezza, praticamente San Sebastiano. Indosso l’unico completino intimo in mio possesso, regalo della mamma anni addietro per festeggiare la comparsa del miserrimo seno e riposto nel cassetto ad attendere l’occasione meritevole. Raggiungo Romolo nel nostro improvvisato nido d’amore, proprio dietro casa mia. È teso. Se la madre lo becca lo massacra. La zia è maniaca dell’ordine. All’ingresso ci imbattiamo nelle pattine. Romolo mi chiede di metterle. Entriamo in camera da letto con passi felpati e la scioltezza di due rami secchi. Romolo si raccomanda di non lasciare nessuna prova. Ci sdraiamo dopo aver steso sotto di noi un enorme asciugamano che lui ha portato da casa sua. Vomita battute cretine, non fa a tempo a sciogliere il ghiaccio che io frenetica mi spoglio completamente.
È la prima volta che un ragazzo mi vede nuda. Lui non perde tempo, mi imita. È la prima volta che un ragazzo è nudo di fronte a me.
E ora? Chi deve fare la prima mossa? Perché mi sento così nervosa? Perché adesso ciò che desidero sono coccole, chiacchiere, un gelato?
Ci baciamo, le sue mani scendono ad esplorare.
Chi ha mangiato la marmellata?
Non è la prima volta che mi tocca, continuo a ripetermi fin qui tutto bene.
Bene un corno! Troppo deciso, isterico il suo tocco, sbrigativo, ansioso di raggiungere risultati evidenti. Mi fa male, ma è sopportabile: Devi abituarti al dolore, tra poco sarà anche peggio, vedrai, ne esci vincente.
Prendo in mano la molliccia protuberanza. Come improvvisata crocerossina alla prese con la sua prima stimolazione cardiaca, cerco disordinatamente un ritmo, passando da incerte carezze soporifere a massaggi forsennati.
In attesa di una reazione, di un rinvenimento, paziente e medico, sono uniti dallo stesso dilemma, dalla stessa aspettativa. I ruoli si fanno indefiniti e, proprio come il malato a volte suggerisce la cura esternando i propri bisogni, la sua mano si sovrappone alla mia. Ecco un sapiente direttore d’orchestra. Indotto il ritmo, trovata l’armonia.
Mostruosa appiccicosa escrescenza, che mistero manipolarti e sentirti finalmente crescere… Mi viene da ridere, scusa, mi impegno diligentemente per non deluderti, ma certo non si può dire che tu mi piaccia, così molliccia, poi rigida, poi stanca, poi nuovamente vispa, insomma conflittuale e viscida. No, niente eccitazione. Tutto in stallo.
Mi sento in colpa con Romolo, mi vergogno. Non sono capace, non gli piaccio, non sono esperta come le sue precedenti ragazze. Attacco di panico. Imbarazzo insostenibile. Maschero ad arte balzando in piedi con entusiasmo:
Mi è venuta un’idea!
Schizzo in cucina e rovisto ovunque finché non trovo un barattolo di marmellata. Torno da Romolo. Ho trovato un espediente che mi fa guadagnare il tempo necessario per calmare la fottutissima paura che mi invade.
Spalmo la marmellata addosso a Romolo, novella Kim Basinger, che divertito, incredulo, si lascia impiastricciare. Comincio a mangiare, arrivo giù giù. Riverso definitamene l’appiccicosa leccornia sul suo pene e faccio merenda.
Un tentativo piuttosto maldestro, frettoloso, impacciato, con timidi assaggi interrotti da improvvisi conati di vomito goffamente respinti. Lascio l’opera incompiuta non appena finisco la marmellata. Romolo a questo punto tenta di ricambiare, porta la sua faccia tra le mie gambe. Ansia, sgomento, frustrazione. Rimane schiacciato tra le mie cosce che si chiudono tempestivamente. Troppo intimo, troppo.
E se gli fa schifo? E se non ha un buon sapore,? Un buon odore? Certo, io mi sono prestata ad assaggiare la sua pietanza, altrettanto pulita ma non proprio appetitosa, con quel liquidino dolce, salato, viscido. Boh, ma, bah.
Nonostante mi sia lavata fino a consumarmi, ubriaca di talco e profumo, il mio servilismo inconscio, mi fa percepire una pretesa eccessiva da parte mia accogliere l’iniziativa di Romolo. Ho paura di non essere all’altezza.
Farà schifo pure a lui, neanche a me è piaciuto. No, deve essere soddisfatto di me, essere appagato.
Il fatto che a lui possa semplicemente piacere non mi sfiora nemmeno. Districo velocemente il suo volto dalle mia gambe e faccio intendere di essere pronta. Avanti. Verso la meta. Romolo decide di concludere. Si sdraia su di me facendomi dolcemente aprire le gambe. Erezione perfetta, non c’è che dire ed ottime proporzioni, fin troppo generose per un primo contatto.
Rilassati.
E comincia a spingere con forza per superare ogni ostacolo, per aprire il cancello. Fitta. Allarme. Melodramma. Un gigantesco intruso tenta di scassinare la mia piccola vagina. Il dolore aumenta, movimento concitato, volto contorto, arrossato, occhi chiusi, conto alla rovescia, respiro bloccato. Mi sento pugnalata nei miei segreti, segreti soprattutto a me stessa. Fingo piacere nella speranza che tutto finisca il prima possibile ma il mio corpo non segue la mente, con impeto grido:
Basta, basta, me fa male, ao, bastaaaaaa!
Romolo si ferma, si fa da parte:
Ma nun so’ nemmeno entrato! Ho solo appoggiato ao. Se te fa male così ‘mo, figuramose poi.
Eh, scusa, vedrai che appena me rilasso, so’ un pochetto tesa…
Lascia sta allora, dai, non te preoccupà, te sei fissata…
No, no, non esco di qui senza vittoria!
Dopo un’ora di chiacchiere, Romolo esausto e con le orecchie sanguinanti, torna alla carica. Sono in ansia, non posso duplicare la sconfitta. Il dolore e la solitudine ritornano, male, ferita, guerra, barricata, lotta, muro, non è colpa mia, fa tutto lei, la mia patata, sta per ribellarsi, sta per gridareee…
Tonfo. Deflagrazione. Boato. I nostri corpi sprofondati a terra.
Ci guardiamo attorno: l’immacolato letto della vecchia zia, religiosissima vedova, non ha retto a quella energia animale e ha esalato l’ultimo respiro. Scardinato, divelto, sconquassato. Romolo pallido, uno zombie. Ci rivestiamo. Di fronte ai suoi frenetici tentativi di ricostruire il mobile violentato, cerco di essere solidale, di aiutare, ma non posso smettere di ridere. Rido di cuore e con me ride la mia vagina. Rimontiamo il letto in modo approssimativo. È quasi ora di cena, dobbiamo rientrare. Non oso pensare all’istante in cui l’opulenta zia si sdraierà per godere un meritato sonno.
Il grottesco epilogo di quel pomeriggio ci regala lo spunto per dipingere agli amici la nostra avventura come un’impareggiabile, appagante vittoria, così selvaggia, così potente, da aver provocato la resa del letto.
La verità è che la mia timida e piccola vagina ha avuto la meglio, e con il suo potere ancestrale, ha azzittito la mente frettolosa, ha abbattuto addirittura il talamo. Non sono pronta. Ahhh, la beffarda, ancestrale, sacra saggezza della vulva.
E così ho cominciato il liceo classico più asserragliata che mai, eliminando dalla mia colazione la marmellata di albicocche.
**** A parte me, i nomi degli altri protagonisti sono nomi inventati.
Questo anfratto esplorato mi crea qualche antico e mai superato disagio. Faccio parte di quella generazione che volle prepotentemente affacciarsi alla “parità” intraprendendo una vera e propria gara, affinché noi giovani ragazze, potessimo liberarci di questa verginità, di questo peso, in fretta. Per raggiungere questo obiettivo, ed accedere al ruolo di super fighe, libere e rivoluzionarie, fummo disposte a tutto…quante maschere indossate che fossero all’altezza del ruolo recitato! Quanti sospiri falsi per nascondere l’imbarazzo ed il disagio…quante azioni eseguite per soddisfare il maschio di turno, fingendo piaceri mai raggiunti. Arrivai alla meta agognata più tardi rispetto alle mie amiche, le percepivo così sicure, sexy, guerriere! Quanti anni perduti a confondere l’emancipazione con il sesso a prescindere. La realtà è che non siamo mai state libere davvero, prima di imparare ad ascoltare il nostro corpo, a rispettarlo, a dargli voce potente, assertiva, sono passati interi decenni. Milioni di minuti, svenduti sull’altare della sottomissione più o meno velata o consapevole. Se potessimo svelare la verità, fino in fondo, credo che l’universo maschile sprofonderebbe in una depressione senza fine. Care le mie indisciplinate, confido in voi, ancora siamo tanto lontane dai nostri reali desideri, noi lo sappiamo vero? Per questo continuiamo ad essere inquiete, eternamente in vibrazione, come un diapason, mai completamente paghe. Qualcuno direbbe: perché non siete madri, o spose…o vattelapesca! Alla fine gira che ti rigira, dobbiamo sempre indossare un abito identificativo, non possiamo permetterci il lusso di essere ibride. Noi donne no! Anche mignotta…ma ibrida no, non catalogabile giammai! Perdonate questo mio libero pensiero che forse è passato da palo in frasca! È un tentativo, forse debole di dare voce a questa rabbia che ancora bussa forte alla mia porta…dobbiamo fare ancora tanta strada per rompere le catene mentali e poter planare dolcemente nel mondo dell’amore gentile, dove i corpi siano considerati sacri, nel senso più ampio e libero del termine, dove la parola sia regina delicata e autentica, dove nessuno possa o debba sentirsi in obbligo, dove il tempo possa delinearsi anche all’infinito, dove non esista nessuna meta da raggiungere, ma solo il desiderio di giocare nella libertà reciproca condivisa, dove si possa dire no, o questo non mi piace, senza che nessuno si offenda o ti offenda…grazie Marzia, adorabile come sempre.
Cara Anna Maria, grazie per il tuo meraviglioso contributo. Il percorso verso la libertà di essere noi stesse, qualsiasi sia la nostra natura, qualsiasi i nostri gusti, qualsiasi la nostra provenienza, è ancora tanto irto di ostacoli esterni e interiori. Ma siamo nel cammino. Nel mio racconto affiora tutto il bisogno di piacere, di approvazione, di diventare “brava”, “capace”. Un bisogno di controllo a discapito di me stessa. Certo, ero piccolissima. Anche nelle diversissime adolescenti di oggi vedo le stesse dinamiche, agite con nuove maschere. E le vedo ancora nelle donne adulte. Il passaggio da una violenta e claustrofobica morale castrante, puritana, verginea di noi donne alla vulcanica, esplosiva, travolgente corsa al sesso, alla rivendicazione della nostra vagina libera, alla distruzione del modello madre-moglie è stato un grande, enorme portale di trasformazione. Ma non eravamo pronte. Non eravamo pronte noi, non era pronta la società, anche se scalpitavamo da secoli, però, ben venga la ricerca, anche se piena di estremi, conflitti, disequilibri. Tutte conosciamo quei non detti, quelle finzioni, quegli attriti che abbiamo tenuto per noi mentre cavalcavamo la sperimentazione sessuale, divise tra l’eccitazione di poter essere libere amazzoni e l’ansia di non essere in grado. Perdoniamoci, fa parte di un cammino, di una evoluzione. Che, mi auguro, proprio attraverso queste contraddizioni, ci porterà man mano più vicine alla consapevolezza, all’ascolto del nostro corpo. Ché quella è libertà. Essere, agire, fare ciò che nel presente desideriamo realmente solo per noi stesse, ma realmente. ” Quelle come me inseguono un sogno, quello di essere amate per ciò che sono e non per ciò che si vorrebbe fossero” , scriveva Alda Merini. Aggiungo che non saremo mai amate per ciò che siamo se non cominciamo a vivere per come siamo, siamo noi a doverci amare. E in questo il corpo come sempre ha una voce onesta, reale. Allenarsi ad ascoltarlo. Le grandi lotte di liberazione femminista del decennio tra il 66 e il 78 sono state davvero fondamentali, come lo sono state le suffragette ancora prima, e moltissime donne del passato che hanno lottato dando la vita per cambiare le cose. Ma è chiaro che il patriarcato, la censura, i pregiudizi, il tiranno interiore sono ancora prepotentemente presenti e oggi, in una società che fa finta di essere sensibile alle pari opportunità, sono segni molto più difficili da riconoscere mentre sono dilaganti e ramificati. Ci sono milioni di donne che non li notano nemmeno. Che accettano e praticano costanti sabotaggi a loro stesse e non se ne accorgono e sono convinte di essere libere, ingoiando mille rospi. Il sesso è una grande cartina tornasole. Il compiacimento verso il maschio, l’ansia di essere perfette, amanti sublimi, sveglie, scattanti, appassionate, esperte, le donne che ogni uomo (e anche ogni donna) desidera a letto e al contempo voler essere amate e poter amare, essere considerate le mogli, le compagne, le colleghe, le mamme, le sorelle, le amiche che tutti e tutte vorrebbero. Un binomio infernale. Siamo talmente tanto cariche di secoli e secoli di violenza, censura, carceri, proibizioni, abbandoni, torture, invisibilizzazione che tutte ancora combattiamo con il grande bisogno di avere conferme, di essere accettate, di piacere al mondo. E nel sesso tutto si rispecchia. Tempo, diamoci tempo. La sperimentazione passa attraverso cadute, errori, sconfitte, piccole vittorie. Ecco, piano piano, arriva la consapevolezza. L’ascolto. La grande libertà è quella di dare noi la confermare a noi stesse, non a chiedere e cercare approvazione fuori. Fuori dobbiamo pretendere diritti, pari opportunità. Certo, è un durissimo processo. E spesso, per attraversalo, dobbiamo farci carico anche di una solitudine preferibile ai compromessi inaccettabili. Una solitudine ricca di noi stesse, che può aiutarci ad essere più vere e più autentiche con tutto e tutti. La solitudine non è per forza brutta. È anche meravigliosamente potente, dona indipendenza, centratura, ascolto. E aiuta ad avvicinarci a chi è in empatia con noi, a chi ci somiglia. A noi donne aiuta a creare sorellanza. Io vedo anche tante, tante, tante indisciplinate. Il femminismo non è mai morto e in questo decennio ha ripreso grande energia. Ci stiamo muovendo Anna. Stiamo andando incontro alle nostre vagine.
Cara Marzia condivido totalmente la tua disamina appassionata, non potrei aggiungere altro…hai dato voce a questo nostro percorso fatto di contrasti e sfumature. Siamo in cammino. Sempre e con grande immutata passione. Amerò ancor di più le nostre fragilità ed errori, allarghero’ le braccia per contenervi tutte, perché vi amo come amo la mia stessa pelle.
Anna, arriva tutta la tua passione, la tua generosità e il cuore. Questa energia ci fa bene. Moltissimo. Sono sempre onorata del nostro scambio. Grazie a te e a tutte per il sostegno, per la lettura di indisciplinata e per il confronto reciproco. Cresciamo assieme.